Luca Cavallini

SE

Se, il titolo scelto da Barbara Pietrasanta e Pino Di Gennaro per la loro esposizione alla Permanente, condensa in una sola parola, tanto breve quanto ricca di significato, la genesi e il nucleo tematico attorno a cui ruota la mostra.

Due lettere che spalancano una gamma potenzialmente infinita di ipotesi e di possibilità su cui gli artisti riflettono – e invitano a riflettere – con i loro lavori.

Di Gennaro e Pietrasanta si interrogano sul senso di profonda incertezza che pervade l’epoca in cui viviamo e su temi di grande attualità, come il cambiamento climatico, le migrazioni e le fragilità della società contemporanea.

Con le loro opere invitano i visitatori a chiedersi cosa succederebbe Se ognuno di noi fosse più consapevole delle sfide epocali di fronte a cui ci troviamo e Se ognuno di noi si impegnasse concretamente per invertire la rotta di quei fenomeni globali che minacciano il pianeta.

Il confronto con temi così complessi è l’esito di un’evoluzione naturale, l’ultima tappa di un percorso che li ha portati ad allargare l’orizzonte rispetto alle tematiche più intime e introspettive predominanti in passato.

Le problematiche sociali, politiche e ambientali vengono affrontate, sia da Di Gennaro che da Pietrasanta, con opere non troppo esplicite o dirette, quanto piuttosto allusive, che richiedono una riflessione approfondita e tempi lunghi di decantazione.

Entrambi scelgono la via più propria dell’arte: trasmettere contenuti e messaggi pregnanti attraverso un linguaggio lirico e poetico, più che descrittivo o didascalico.

Con i loro lavori si propongono di lanciare un messaggio di speranza, che stimoli la ricerca di una via d’uscita e di un Se rivolto a un cambio di paradigma: alla denuncia delle storture del nostro tempo si affianca una pars construens che mira a una svolta positiva realmente attuabile.

La scelta di progettare un’esposizione in cui dipinti e sculture dialogano tra loro rafforza e consolida i contenuti veicolati dalla mostra, in cui lo spettatore è invitato a scoprire una serie di rimandi incentrati sulla relazione tra uomo e natura. 

La volontà di creare un lavoro condiviso è particolarmente evidente nelle tre grandi installazioni in cui le tele di Pietrasanta sono collocate a stretto contatto e in relazione diretta con le sculture di Di Gennaro: due mondi creativi distinti si fondono così in un progetto comune, a quattro mani, che mette in luce i punti di incontro tra i due artisti.

Entrambi hanno scelto di esporre prevalentemente lavori realizzati nel corso degli ultimi anni, che raccontano gli esiti più attuali delle loro ricerche, senza tuttavia trascurare alcune opere precedenti, che contengono già, in nuce, la direzione verso cui si è orientata la produzione più recente.

Le opere di Di Gennaro testimoniano la poliedricità tematica e stilistica del suo lavoro negli ultimi anni, che alterna sculture a tutto tondo a opere parietali, con una notevole varietà di tecniche e di materiali, che spaziano dal bronzo, alla cartapesta, alla ceramica, alla cera, modellati in molteplici forme e ravvivati da una costante sperimentazione cromatica.

Oltre che sui bronzi, a cui ha dedicato una parte significativa della sua carriera, questa rassegna si incentra su materiali più delicati e più fragili, come la cartapesta, su cui ha lavorato moltissimo negli ultimi anni, la ceramica e la cera, che costituiscono le sue ultime scoperte.

In particolare la cera si pone come un emblema della fragilità, dell’instabilità e della caducità che permeano il nucleo tematico della mostra, fungendo da contraltare alla solidità, alla monumentalità e a quel senso di eternità naturalmente connaturato al bronzo.

Le opere in cera sono particolarmente interessanti, perché aprono un nuovo capitolo nel percorso di ricerca di Di Gennaro: gli consentono, infatti, una grande libertà creativa, come sottolinea lui stesso quando racconta che, nel realizzarle, si lascia guidare dalla materia, dalla malleabilità e dal carattere magmatico della cera, che viene lavorata senza l’ausilio di bozzetti preparatori.

Questi lavori, eseguiti nel materiale stesso delle api, con sagome e inserti che richiamano esplicitamente le forme di arnie e alveari, sono dedicati al tema della progressiva scomparsa di un insetto assolutamente fondamentale per il nostro ecosistema, ma gravemente minacciato dal cambiamento climatico e dall’inquinamento globale.

A questo stesso tema si ispira anche una serie di opere realizzate in ceramica, altro materiale su cui Di Gennaro ha iniziato a lavorare recentemente.

I mille fiori delle api si presentano come formelle con un nucleo in terracotta grezza, che riproduce la struttura di piccoli alveari racchiusi da elementi in ceramica policroma, che si aprono all’esterno come petali di fiori variopinti disposti in grandi composizioni parietali.

In tutti questi lavori emerge con evidenza la sperimentazione cromatica portata avanti nel corso degli ultimi anni: dalle policromie accese e brillanti delle ceramiche agli inserti colorati delle opere in cera.

Nelle sculture in cartapesta prevale invece un blu intenso, che richiama l’idea di una dimensione subacquea e di una profondità marina, ma anche, all’opposto, il cielo, nella serie Tocco il cielo con le dita, in cui le superfici solcate da piccoli fori e crateri, realizzati direttamente con i polpastrelli, sono accostate a inserti metallici lucidi e levigati. 

Alle opere parietali si affiancano gli alberi, forme esili protese verso l’alto, con un moto ascensionale che tende al cielo e ad uno spazio cosmico indefinito, un altrove in cui perdersi come in una dimensione onirica.

Nella Foresta nomade le sagome degli alberi assumono le forme più varie, dal quasi naturalismo di foglie e radici, ai fitti intrecci e grovigli di elementi sinuosi e geometrizzanti: si crea così un raffinato gioco di rimandi tra il bronzo lucido e le superfici ossidate e policrome, che sembrano invitare lo spettatore ad addentrarsi in questa enigmatica foresta e nell’universo creativo dell’autore.

Se queste opere sono spesso riconducibili a temi ambientali, negli Appunti Di Gennaro si confronta con un’altra tematica di grande attualità: la perdita della materialità della scrittura, oramai ridotta a una dimensione puramente digitale e virtuale, segnata dalla progressiva scomparsa di fogli e inchiostri.

Per recuperare la materialità e la tattilità della scrittura, Di Gennaro realizza una serie di opere parietali in bronzo e in cartapesta, in cui le superfici sono solcate da quel suo caratteristico alfabeto segnico che simboleggia tutte le scritture del mondo: vera e propria forma di resistenza rispetto alla perdita di una dimensione reale della scrittura ed alla smaterializzazione che sembra sempre più irreversibile.

Come Di Gennaro, anche Barbara Pietrasanta espone prevalentemente opere recenti, che offrono uno spaccato significativo del suo lavoro nel corso degli ultimi anni.

Nel ciclo Awakening, avviato un decennio fa, è ancora predominante una componente intimista, che la porta a ritrarre una serie di donne colte nel momento del risveglio, in quell’attimo sospeso che intercorre tra il mondo estatico della notte e l’inesplorato sopraggiungere del giorno.

Nei cicli più recenti, in particolare a partire dai Naufraghi, che segnano un vero e proprio punto di svolta nella sua pittura, l’attenzione si concentra sempre più sui problemi che attraversano la società contemporanea, dalle migrazioni al cambiamento climatico.

Affrontare tematiche di tale portata significa allargare l’orizzonte rispetto alla dimensione intima e introspettiva di indagine sull’animo umano che ha sempre caratterizzato il suo lavoro.

Interrogandosi sul dominio dell’uomo sulla natura e sulle grandi problematiche della contemporaneità, Pietrasanta lancia un grido di allarme contro i fenomeni globali che rendono fragile il nostro mondo e il nostro tempo, cercando però di individuare una chiave positiva, di speranza nel cambiamento.

Pur raffigurando spesso situazioni cariche di angoscia e apparentemente senza via d’uscita, nelle sue opere lascia emergere la forza di credere in una svolta, partendo sempre da una dimensione interiore, imprescindibile anche nell’affrontare problemi di interesse generale.

Le protagoniste assolute dei suoi dipinti sono donne, spesso sofferenti, livide e segnate, ma mai vinte o sopraffatte: sono sopravvissute, come lei stessa le definisce, che, per quanto sole e fragili, incarnano la resilienza, il coraggio di non farsi travolgere dalle vicissitudini della vita e la speranza in una svolta positiva, nella sfera intima e personale, così come in una dimensione più ampia e collettiva.

Queste donne sono lo specchio della fragilità umana di fronte al pericolo di un naufragio, sia reale che metaforico, e della vulnerabilità rispetto alle forze estreme della natura, ma anche di fronte alle ingiustizie della società contemporanea.

Anche se sferzate da un vento incessante, minacciate dalla siccità e rimaste sole, accovacciate su sé stesse, seminude e inermi, le donne ritratte da Pietrasanta sembrano trovare la forza di resistere e di lanciare un grido contro il cambiamento climatico, contro la solitudine, contro l’indifferenza. 

I relitti delle navi, le sagome rinsecchite degli alberi battuti dal vento, gli spazi vuoti e indefiniti della solitudine e dell’abbandono sono le quinte teatrali in cui queste donne mettono in scena un racconto fatto di vuoto e di ansie esistenziali, il cui epilogo non è però ancora scritto, ma si apre al cambiamento e alla speranza.

L’acqua, elemento ricorrente nei suoi dipinti, non è solo sinonimo di naufragio, ma si può anzi trasformare in un elemento rigenerativo, così come il vento non è solo quello che sradica alberi e semina distruzione, ma si può tramutare in un soffio di speranza, che, in opere come Altrove, apra possibili vie d’uscita.

La limpidezza e il nitore che caratterizzano le sue tele, solo in parte velate dal vento e dagli agenti atmosferici, si sposano con una gamma cromatica che alterna toni tenui e delicati, spesso giocati su sfumature grigie e blu, a tonalità più livide e acide, senza dimenticare gli impasti densi e tetri di opere come Blackdance: tutte scelte cromatiche ben lontane dalla pittura viva e squillante, di ascendenza pop, di un tempo.

Osservando le sue tele, ciò che più colpisce è la capacità di coniugare una pittura di denuncia dei grandi mali del nostro tempo con un linguaggio più intimo e raccolto, che scava nelle ansie e nei vuoti dell’animo umano, facendo convivere indagine psicologica e forza evocativa, messaggio politico-sociale e riflessione interiore.

Torna in alto