Lo studio di Pino Di Gennaro ha sede in un incantevole quanto inaspettato scorcio di campagna in piena città: un angolo verde che le alte moli dei palazzoni che lo circondano sembrano quasi voler proteggere. Uno scenario ideale per le opere, piene di magia, di questo straordinario scultore, pugliese di nascita e milanese di adozione, uomo di intelletto e cultura quanto di fantasia creativa e maestria tecnica. In un’atmosfera sospesa tra reale e irreale, le sagome ingombranti degli edifici del quartiere dialogano con la vegetazione che abbraccia il giardino e con le suggestive e svettanti creature biomorfe plasmate nella cartapesta, che occupano gli spazi interni dell’atelier. Un gioco sottile di rimandi visivi e mentali, un labirinto di immagini in cui perdersi, per fermarsi a riflettere, per prendere fiato dalla frettolosa corsa quotidiana. In questa cornice idilliaca è possibile ascoltare la voce delle creature di Pino Di Gennaro, una voce sonora e avvolgente, che incanta ma non inganna e racconta di un universo fatto di cielo, di terra, di aria e di acqua, un mondo simile al nostro, se non fosse per quel senso di pace, di comunione di culture, di armonia cosmica che vi si respira. Proprio da questo punto si potrebbe partire per raccontare il percorso umano e artistico di Di Gennaro: il messaggio espresso da questi oggetti che sanno suggerirci importanti elementi di riflessione.

Per Pino Di Gennaro l’arte deve avere una dimensione pubblica. Perché l’opera d’arte non può essere solo un piacevole oggetto d’arredo, non può avere soltanto una valenza estetico-decorativa, non può essere semplicemente il compiaciuto riflesso dell’ego del suo creatore. La scultura, in particolare, può e deve avere anche una funzione sociale, deve occupare gli spazi urbani, dialogare con la gente, aprirsi anche a chi di arte non parla, anche a chi di arte non si interessa, anche a chi, altrimenti all’arte, forse, non si avvicinerebbe. La scultura può concorrere a valorizzare la qualità di vita di una piazza, di un quartiere, di un paese, di una città… e non solo per la sua funzione di arredo urbano, ma anche perché sa mettere in relazione persone che non si conoscono, sa invitarle a confrontarsi e favorire momenti di interazione, di dialogo. L’aspirazione massima di Di Gennaro è dunque che la sua opera possa farsi pubblica, uscire allo scoperto, scappare dal idilliaco angolino di verde in cui è nata e assolvere al proprio vero compito.

Ed è sorprendente come le opere di Di Gennaro occupino lo spazio urbano. Osservandole all’aria aperta, immerse nel tessuto cittadino, ne scopriamo il vero carattere. Si pensi, ad esempio, al Monumento alla pace, realizzato nel 1997 per la Piazza san Secondino a Troia, la sua città natale o, ancor meglio, alle due monolitiche colonne che  svettano  all’ingresso  del  nuovo  Tribunale  dei  Minori  di  Sassari.  Sono  opere  progettate pensando allo spazio che andranno ad abitare. Il senso del loro esistere risiede anche nella loro funzione collettiva, nel dialogo che sapranno instaurare con il contesto che le circonda, nel modo in cui si relazioneranno con i fruitori. C’è qualcosa di desueto in questo concetto di opera pubblica: qualcosa che riporta a un senso civico troppo spesso calpestato dalla società odierna, che fa pensare alla funzione dell’arte nell’antichità, quando l’arredo urbano, lo spazio pubblico, il monumento, erano considerati lo specchio del “buon governo”, strumento di potere e prezioso veicolo di immagine, certo, ma anche momento di educazione del popolo, di riflessione storico-filosofica.

Le opere di Di Gennaro, sia chiaro, non intendono imporre un messaggio. Non sono opere ideologicamente connotate. Esse vogliono, piuttosto, stimolare dialoghi e riflessioni, risvegliare quel  senso  civico  di  cui  si  faceva  cenno  poco  fa.  E  per  raggiungere lo  scopo  utilizzano  un linguaggio universale, nato dall’incontro degli elementi che costituiscono l’identità dell’uomo: l’universo animale, vegetale e minerale, la sfera intellettuale, la fantasia, la storia. Le loro superfici incise custodiscono la memoria dell’umanità intera. A tratti possono ricordare rotoli di scritture sacre  o  antichi  sigilli  mesopotamici,  altrove  si  manifestano  sotto  forma  di  colonne  incise, monolitiche presenze che occupano silenziosamente lo spazio, o, ancora, prendono le sembianze di sfere, sorta di misteriosi corpi celesti… si trasformano e assumono aspetti diversi, ma conservano il loro straordinario carattere, quel farsi ponte tra cielo e terra, tra realtà e idea.

Sebbene conservino il fascino e il sapore dell’antichità, le sculture di Pino Di Gennaro sfuggono al regime del tempo. Parlano alla nostra epoca ma sembrano non appartenergli, quasi provenissero da un eden lontano, una dimensione dove non esistono (ancora?) le divisioni di lingue e culture, di razze e religioni. E parte del loro fascino risiede proprio in questa duplice essenza di arcaicità e contemporaneità, di presenza e assenza, di fisicità e tensione spirituale, immobilità e dinamicità. Una dicotomia che trova sempre il giusto equilibrio, non genera contraddizione ma armonie. Le sculture  di  Di  Gennaro,  anzi,  vivono  di  queste  giustapposizioni  e  in  esse  trovano  il  proprio equilibrio: a un elemento attivo ne corrisponde sempre uno passivo, a una linea dinamica ne segue una statica, alla leggerezza volatile di una forma replica sempre l’immobile fisicità di un’altra. E qui, è chiaro, entra in gioco la consumata maestria di uno scultore che da anni lavora la materia. Un artista che non solo conosce i segreti della tecnica e li impiega con grande abilità e con serietà e disciplina (una dote ben rara) ma che ama profondamente il proprio mestiere.

Straordinariamente varia anche la scelta dei materiali, trattati con tecniche tanto tradizionali quanto sperimentali, lavorati fin dove possibile in studio, anche quando si tratta di procedure complesse come la fusione in bronzo. E non è un caso che ai materiali più classici (quali appunto il bronzo) se ne affianchino di inaspettati: su tutti la carta pesta che nella produzione dell’artista ha un ruolo di rilievo. Materiale duttile, cromaticamente versatile, la carta pesta è, a mio parere, il materiale d’elezione di Pino Di Gennaro. A pensarci, essa è davvero un materiale “sostenibile”, in linea perfetta con gli ideali dell’artista: oltre ad avere evidenti virtù estetiche (ad esempio la sua sensuale organicità, opposta alla statica freddezza del metallo), infatti, ha anche dei costi di produzione bassissimi, che rendono possibili prezzi di mercato meno elevati e di conseguenza una maggior diffusione delle opere. Quanto ai risultati, basterebbe osservare la serie di Pilastri del cielo per avere prova della loro eccellenza: un universo sospeso tra cielo e mare, affascinante e misterioso, mai spaventoso, anzi, accogliente come un sogno famigliare, come un rifugio dell’anima. Forme vitali, dinamiche, che sembrano germogliare, ondeggiare, respirare… che appagano la vista e stimolano il tatto: difficile trattenersi dal   toccarle, quasi   potessero rispondere   al   nostro tocco.

A testimoniare   il coinvolgimento sensoriale che le sue opere sanno risvegliare, possiamo citare le due Sculture per ciechi, realizzate per le città di Gallarate e di Alghero, straordinari quanto simbolici esempi della possibilità di superamento di un limite fisico nella percezione di un’opera d’arte. Nei lavori di Di Gennaro c’è Boccioni, certo, e a tratti direi anche Balla, con i suoi immaginifici e coloratissimi fiori futuristi e le sue germogliazioni di primavera, c’è Fontana, con le sue Nature e i suoi ambienti, e c’è Alik Cavaliere, che Di Gennaro ha conosciuto e stimato. Ma c’è soprattutto il carattere e la personalità di un artista che dell’arte ha fatto molto più di un mestiere: quasi una missione, se si considera l’attenzione che Di Gennaro dedica all’insegnamento, alla divulgazione, alla didattica, alla creazione artistica intesa anche come terapia, come aiuto psicologico per superare situazioni al limite (noto, ad esempio, è il contributo dell’artista al recupero psichico dei ragazzi vittime del bullismo e straordinaria). Ed ecco, ancora una volta, l’impegno sociale inteso come primo scopo dell’arte.

Quello di Pino Di Gennaro, dunque, è un viaggio lungo e complesso, un viaggio a tratti faticoso, ma sempre sostenuto dall’entusiasmo e dalla convinzione del “far bene”. Il sogno di pace, di unità e condivisione, di cui l’opera di Di Gennaro è foriera, è un messaggio che riguarda sia il cielo che la terra. È una riflessione che riguarda tutti noi.

Immagine Casuale
V.V., Atelier, Catalogo della Mostra a Palazzo Dugnani, Milano 1983
Archivi

Copyright Pino Di Gennaro © 2015. All Rights Reserved.